24 – 25 dicembre. Da: I Quaderni del 1943 di Maria Valtorta

24 dicembre 1943

Dice Gesù:

«Anche un versetto solo di un salmo ha una luce capace di illuminare gran via.

Ecco la differenza[1] fra il peccatore e il giusto.

Il primo è un vampiro che prende e distrugge né mai restituisce. Distrugge le opere dei fratelli e i meriti miei. Si nutre della comunione dei santi. Ecco come se ne nutre. Non per il suo spirito al quale nessun cibo spirituale può giovare poiché è spirito morto. Se ne nutre per questa sua vita, poiché i santi pregano per lui e stornano dal suo capo i castighi di Dio. Tutti meno l’ultimo, poiché Dio è giusto e dà a seconda che si è fatto. Rende sua condanna il Sangue che è salvezza perché con la sua vita di peccato irride il mio sacrificio. È un parassita del corpo mistico. E finisce a divenire un morto. Una cellula morta di questo corpo mirabile.

Tu sai che nel vostro corpo le cellule morte sono la sede di atroci malattie. Così è di queste spirituali cellule che si nutrono dell’altrui lavoro senza avere attività generante loro propria. Sono cancrene.

Il giusto invece, attivo come un dio, continuamente produce, in forma minore come un dio. È un generatore di vita. Innestato al Cristo, suo Maestro, vive la Vita e la fa sua, la moltiplica col suo proprio vivere, che per quanto sia umile non è sprezzato da Dio, il quale non sdegna le opere dei suoi piccoli ma le accoglie con un sorriso e le fa sue. Ricco di inesausta ricchezza – poiché non dispone unicamente della sua attività, ma di quell’immisurabile tesoro che sono le opere del Cristo e dei santi – egli ha di tutti compassione e dà senza avarizia, né il suo dare lo impoverisce, perché più dona e più Dio in lui si trasfonde trascinando con Sé il fiume di santità di cui è sorgente e foce e le cui onde sono i meriti senza numero del Verbo immolato e dei suoi santi. Più la santità cresce e più la compassione aumenta, poiché se cresce la santità sempre più dimora Dio in voi e la dimora di Dio in voi vuol dire possedere la Carità.

Oh! sorte beata! Quando al termine della vita il giusto ascenderà al Cielo, saranno a precederlo, tappezzando di luci la sua via e cantando le sue lodi, le opere da lui compiute, e al suo umile e beato stupore Io dirò[2]: “Ebbi fame e mi desti da mangiare, ebbi sete e mi desti da bere, fui nudo e mi rivestisti, infermo mi curasti, pellegrino mi accogliesti. Quanto facesti per i fratelli a Me l’hai fatto e specie quando col tuo dolore e col tuo operare hai fatto di un fratello un santo, hai aggiunto una luce alla mia corona di Re eterno. Perciò con Me ora regnerai in eterno, o mio benedetto!”.»


Lo stesso giorno.

Dice Gesù:

«A coloro che leggendo umanamente questi dettati trovano che Io mi ripeto rispondo: Alla vostra pertinacia nell’errore contrappongo la mia pertinacia nell’insegnare. I buoni maestri non si stancano di ripetere una spiegazione finché non sono sicuri che tutta la scolaresca ha compreso la spiegazione del maestro.

In una scolaresca non tutti hanno la stessa volontà o la capacità di comprendere. Anzi, gli scolari che uniscono volontà e intelligenza sono le eccezioni. Sono le perle del maestro, quelle che lo compensano delle delusioni di tutti gli altri.

Io sono il Maestro. E solo Io, che oltre che Maestro sono Dio ed ho di Dio l’onniveggenza, so quanto pochi sono nel mio popolo coloro che ascoltano comprendono, ritengono ed applicano la mia Parola. Quanto pochi quelli ai quali l’amore è luce intellettiva e volontà. Perché sono questi, presi dall’amore, che comprendono e vivono la mia dottrina e ai quali basta dare una volta una spiegazione perché la facciano norma di vita. Gli altri, inebetiti dalla colpa o resi tardi dalla pigrizia spirituale, occorre che Io li ammaestri senza stanchezze e sempre da capo perché un minimo di luce e di dottrina sia capace di insinuarsi in loro e germinare una pianticina di Vita.

Ecco la ragione del mio ripetere in mille maniere un’unica scienza. E con questo risultato: chi meno ne abbisogna, poiché è già uno con Me, la accoglie con sempre nuova ansia, come fosse sempre parola nuova, e non si stanca di riceverla poiché essa è per lui cibo e aria di cui, come del cibo e dell’aria naturali, ha sempre bisogno sinché la sosta cessa ed egli viene alla Vita dove la contemplazione di Dio sarà compendio di tutti i bisogni, sarà tutto. Invece coloro che più ne abbisognano più presto se ne stancano e staccano. Sia perché essa dottrina è per loro pungolo e rimprovero, sia perché la loro imperfezione spirituale li ottunde, rendendoli incapaci di sentire i loro bisogni e la bellezza della mia Parola.

Ma Io faccio il mio dovere di Maestro ugualmente. Mi stringo sul Cuore i discepoli fedeli per i quali la mia carezza è già parola, e, consolandomi in loro proseguo il duro compito di parlare agli ostili, agli inerti, ai deboli, ai distratti.»

 

 

25 dicembre 1943

 

Natale.

Nuovo dettato di Maria.

Dice Maria:

«La beatitudine dell’estasi natalizia è venuta meco come essenza di fiore chiusa nel vivo vaso del cuore per tutta la vita. Indescrivibile gioia. Umana e sovrumana. Perfetta.

Quando il venir di ogni sera mi martellava nel cuore il doloroso “memento”: “Un giorno meno di attesa, un giorno più di vicinanza al Calvario” e l’anima mia ne usciva ricoperta di pena come se un flutto di strazio l’avesse ricoperta, anticipata onda della marea che m’avrebbe inghiottita sul Golgota, io curvavo il mio spirito sul ricordo di quella beatitudine che era rimasto vivo nel cuore, così come uno si curva su una gola montana a riudire l’eco di un canto d’amore ed a vedere in lontananza la casa della sua gioia.

È stata la mia forza nella vita. E lo è stata soprattutto nell’ora della mia morte mistica ai piedi della Croce. Per non giungere a dire a Dio – che ci puniva, Io e il mio dolce Figlio, per i peccati di tutto un mondo – che troppo atroce era il castigo e che la sua mano di Giustiziere era troppo severa, Io, attraverso il velo del più amaro pianto che donna abbia versato, ho dovuto affissare quel ricordo luminoso, beatifico, santo, il quale si alzava in quell’ora come visione di conforto dall’interno del cuore per dirmi quanto Dio m’avesse amata, si alzava per venirmi incontro non attendendo, poiché era gioia santa, che io lo cercassi, perché tutto quanto è santo è infuso da amore e l’amore dà la sua vita anche alle cose che par che vita non hanno.

Maria, occorre fare così quando Dio ci colpisce.

Ricordare quando Dio ci ha dato la gioia, per poter dire anche fra lo strazio: “Grazie, mio Dio. Tu sei buono con me”.

Non rifiutare il conforto del ricordo di un passato dono di Dio che sorge per confortarci nell’ora in cui il dolore ci piega, come steli percossi da una bufera, verso la disperazione, per non disperare della bontà di Dio.

Procurare che le nostre gioie siano gioie di Dio, ossia non darci delle gioie umane, da noi volute e facilmente contrarie, come tutto quanto è frutto del nostro operare avulso da Dio, alla sua divina Legge e Volontà, ma attendere solo da Dio la gioia.

Serbare il ricordo di esse anche a gioia passata, perché il ricordo che sprona al bene ed a benedire Iddio è ricordo non condannabile ma anzi consigliato e benedetto.

Infondere della luce di quell’ora le tenebre dell’ora presente per farle sempre tanto luminose che ci bastino a vedere il santo Volto di Dio anche nella più buia notte.

Temperare l’amaro del calice di quella goduta dolcezza per poterne sopportare il sapore e giungere a berlo sino all’ultima stilla.

Sentire, poiché lo si è conservato come il più prezioso ricordo, la sensazione della carezza di Dio mentre le spine ci stringono la fronte.

Ecco le sette beatitudini contrapposte alle sette spade. Te le dono per mia lezione di Natale (metti questa data) e con te le dono a tutti i miei prediletti.

La mia carezza per benedizione a tutti.»

 

Dice l’Eterno Spirito:

Io sono l’Amore. Non ho voce mia propria perché la mia Voce è in tutto il creato ed oltre il creato. Come etere Io dilago per tutto quanto è, come fuoco accendo, come sangue circolo.

Io sono in ogni parola del Cristo e fiorisco sulle labbra della Vergine. Io purifico e faccio luminosa la bocca dei profeti e dei santi. Io sono Colui che le cose ispirò prima che fossero, perché è il mio potere quello che come palpito dette moto al pensiero creativo dell’Eterno.

Per il Cristo tutte le cose sono state fatte[3], ma tutte le cose sono state fatte da Me-Amore, perché sono Io che con la mia segreta forza mossi il Creatore ad operare il prodigio.

Io ero quando nulla era ed Io sarò quando rimarrà unicamente il Cielo[4].

Io sono l’ispiratore della creazione dell’uomo al quale fu donato il mondo[5] per sua delizia, il mondo in cui, dagli oceani alle stelle, dalle vette alpine agli steli, è il mio sigillo.

Io sarò che porrò sulle labbra dell’ultimo uomo la suprema invocazione[6]: “Vieni, Signore Gesù!”.

Io sono Quello che a placare il Padre infusi l’idea dell’incarnazione e scesi fuoco creatore, a farmi germe nelle viscere immacolate di Maria, e risalii fatto Carne sulla Croce e dalla Croce al Cielo per stringere in anello d’amore la nuova alleanza fra Dio e l’uomo, come in amplesso d’amore avevo stretto il Padre e il Figlio generando la Trinità.

Io sono Colui che senza parole parla, ovunque ed in ogni dottrina che in Dio abbia origine, Colui che senza tocco apre occhi e orecchi ad udire il soprannaturale, Colui che senza comando vi trae dalla morte della vita alla Vita nella Vita che non conosce limite.

Il Padre è su voi, il Figlio in voi, ma Io, Spirito, sono nel vostro spirito e vi santifico colla mia presenza.

Cercatemi ovunque è amore, fede e sapienza. Datemi il vostro amore. La fusione dell’amore con l’Amore crea il Cristo in voi e vi riporta in seno al Padre.

Ho parlato oggi che è l’avvento dell’Amore sulla Terra, la più alta mia manifestazione, quella da cui provengono redenzione e infusione pentecostale alla Terra.

Il mio Fuoco dimori in voi e vi accenda, ricreandovi a Dio, in Dio e per Iddio, Signore eterno, a cui, in Cielo e in Terra, ogni lode va data.»

 

Nel ringraziamento della Comunione, mentre ad alta voce pregavo per tutti noi e intorno al mio letto erano Anna e Paola[7] (Marta era andata un momento verso la cucina) l’estasi mi ha presa. Ho visto Maria prendere il Bambino dal suo grembo, stringerselo sul cuore, baciarlo e ninnarlo.

E questo sarebbe poco male. Il male è che ho visto Paola alzare gli occhi dal suo messale (perché, per quanto io leggessi e perciò avessi gli occhi bassi, pure vedevo il libro, la Vergine e gli astanti insieme) e guardarmi fisso, e vidi Marta accorrere e venirmi vicina a guardare anche lei.

Cercando di dominarmi sono andata in fondo alla preghiera di Pio XII al Cuore immacolato di Maria e alle altre orazioni. Ma ebbi la sensazione di essere prossima a naufragare del tutto nella dolcezza beata dell’estasi, e pregavo Dio e Maria che mi aiutassero ad andare avanti e mi occultassero dagli altri in quel mio stato. Dopo venne gente, si fece colazione (latte e caffè) ecc. ecc.

Finalmente, oltre un’ora dopo, chiesi a Paola: “Perché mi guardavi?”

E lei: “Perché ti ho vista cambiare nella voce e nel volto. La voce ti rideva e piangeva insieme e il viso ti si era trasformato”.

E Marta: “io ho sentito fin dalla cucina cambiare talmente tono che sono corsa credendo si sentisse male e l’ho vista tutta diversa”.

“Diversa come?”

“Come fossi fuori di te”.

Non ho negato perché ancora le lacrime del “gioioso pianto”, come dice Maria, mi montavano dal cuore e sentivo la luce interna trasparire dal mio viso.

Oh! Padre!… Dopo sono rimasta accesa e trasfigurata, abbellita per tutto il giorno.

Mi pareva, nel proseguimento della visione che mi estasiava, vedere Maria alzarsi dal luogo dove sempre l’ho vista in questi giorni, in fondo al mio letto dal lato destro, e venire tenendo in braccio il Bambino vicino al mio capezzale. Vedevo distintamente la mossa di appoggiare la mano sinistra al suolo per far leva al corpo e il passo lievemente ondeggiante come è di solito quello di chi calza dei sandali. Quando fu presso a me, vidi il divino Piccino dormire placido e bello appoggiato sul braccio destro e sul petto di Maria.

Mi cadevano le lacrime… Poi Maria mi passò il braccio sinistro intorno alle spalle attirandomi a sé, di modo che io ero sotto il suo velo e sentivo la spalla sottile e il petto gentile contro il mio capo e il mio cuore, e sapevo che dall’altro lato era il mio Gesù ugualmente appoggiato alla Mamma.

Sono stata molto cosi. Ma tuttora la vedo qui, al mio capezzale col Bambino in braccio. Come è bella, mite, pura, cara! E come è placido il riposo del Bambino!

Un respiro di uccellino…

Come è bello stare cosi! Che è il soffrire se ci dà queste gioie? Le ho voluto dire la gioia che dentro e fuori mi colma e mi abbella, perché è troppo bella perché la tenga per me sola.

Io son felice. Unica cosa per cui sono tentata a fare un po’ di broncino alla Mamma e a Gesù è di aver permesso agli altri di vedere il mio trasfiguramento. Mah! Pazienza!…

 

 

 

 


[1] differenza che si ricava da Salmo 37, 21 (nella volgata è Salmo 36, 21, come nel rinvio messo dalla scrittrice accanto alla data).

 

[2] dirò, come in Matteo 25, 31-46.

 

[3] Per il Cristo tutte le cose sono state fatte, come è proclamato in Giovanni 1, 3; Colossesi 1, 16; Ebrei 1, 2.

 

[4] il Cielo dovrebbe qui significare non il regno dei Cieli ma la realtà oltremondana, che comprende il Paradiso e l'Inferno, i due (dei quattro regni dell'aldilà: Limbo, Purgatorio, Inferno, Paradiso) che, anche secondo gli scritti valtortiani, resteranno alla fine dei tempi.

 

[5] al quale fu donato il mondo, come si narra in Genesi 1, 26-30.

 

[6] la suprema invocazione, riportata in Apocalisse 22, 20.

 

[7] Anna e Paola, moglie e figlia di Giuseppe Belfanti (nota all'11 agosto). Marta è Marta Diciotti (nota al 3 giugno).

 

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